Bambini allontanati dai genitori per “eccesso di cure”

Lettera aperta all’assessore sul caso dei bambini allontanati per eccesso di cure
Egregio
Assessore alla salute, integrazione socio-sanitaria, politiche sociali e famiglia
Dott.ssa Maria Sandra Telesca
fax 0432 555646, 040 3775632
e-mail renzo.deangeli@regione.fvg.it

Oggetto: Lettera aperta all’assessore sul caso dei bambini allontanati per eccesso di cure

Gentile dott.ssa Telesca,
Nei giorni scorsi più di cento persone iscritte al gruppo di Facebook Rari e Rapiti https://www.facebook.com/groups/1594804557477959/, che conta ormai più di 6.000 iscritti, le hanno scritto una lettera per invitarla ad intervenire sulla vicenda della coppia di Gorizia. Il CCDU condivide pienamente il contenuto di quella lettera, e le scriviamo per chiederle se intenda fare qualcosa per tranquillizzare queste famiglie preoccupate?
Secondo quanto riportato da alcuni autorevoli organi di stampa regionali e nazionali, su richiesta della Procura AssessoreSalute_Telescadi Gorizia, e su segnalazione iniziale di un neuropsichiatra dall’AAS2 Isontina che sosteneva che erano i genitori a soffrire di un dubbio e controverso disturbo mentale, il Tribunale dei minori di Trieste ha allontanato due bambini disabili dall’amore e dalle cure della loro famiglia perché i genitori erano ritenuti “colpevoli” di somministrare cure eccessive a questi bambini. Cure, a quanto risulta, sempre prescritte dagli specialisti, anche del Friuli Venezia Giulia.
Sempre secondo quanto riferito dai media regionali e nazionali, la malattia e le relative cure dei bambini sono state certificate, oltre che dal Besta di Milano, anche dal Centro regionale per le malattie rare del professor Bruno Bembi di Udine. Inoltre la disabilità dei minori è stata più volte accertata, nella Regione Friuli Venezia Giulia, dalla Commissione Medica ASL e INPS per l’accertamento dell’invalidità.
Il Tribunale dei minori di Trieste chiede ora ad un perito di valutare diagnosi, cure e prescrizioni farmacologiche del Centro Regionale per le Malattie Rare del professor Bruno Bembi di Udine, dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano e di varie altre strutture regionali che hanno curato i bambini in questione. Questo mina direttamente la credibilità e affidabilità di prestigiose strutture sanitarie regionali e nazionali: numerose famiglie iscritte al gruppo Facebook “Rari e Rapiti” oggi non si fiderebbero del SSN friulano, temendo che una perizia psichiatrica strampalata possa risultare nella perdita dei loro figli.
Ci appelliamo a lei, chiedendole d’intervenire per assicurarsi che venga fatta rapidamente chiarezza sulla validità delle strutture sanitarie della Regione Friuli Venezia Giulia e per ricomporre al più presto il nucleo familiare come ha affermato pubblicamente il direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda sanitaria Isontina Friulana-Isontino, dottor Franco Perazza.
In attesa di una sua cortese risposta porgiamo distinti saluti,

Silvio De Fanti
Vicepresidente del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus

https://www.ccdu.org/comunicati/lettera-aperta-assessore-caso-eccesso-cure

Due giorni prima dell’omicidio era andato dallo psichiatra: che sia un caso oppure è l’ennesimo successo della psichiatria?

Sarebbe ora che cominciassero a indagare sulla connessione tra gli omicidi più efferati ed insensati e il passato psichiatrico delle persone che commettono il delitto.

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Da: estense.com

sabato 9 aprile 2016

De Scisciolo andò da uno psichiatria due giorni prima dell’omicidio

Il 73enne soffriva per lo stato di salute della moglie e assumeva un antidepressivo. Il gip ha disposto il suo ricovero in ospedale

E’ stato portato dal carcere all’ospedale Francesco De Scisciolo, il 73enne che il 5 aprile ha ucciso la moglie malata, coetanea, Elena Salmaso, costituendosi subito dopo. Ieri il gip Piera Tassoni, dopo aver convalidato il fermo del pensionato, ne ha infatti disposto il ricovero presso l’ospedale di Cona in una situazione protetta e sorvegliata.

carabinieri omicidio via paracelsoIntanto i legali difensori dell’uomo, gli avvocati Ugo e Marco De Nunzio e Federico Fischer, hanno rinunciato all’incarico conferito loro dalla famiglia del 73enne, che ora dovrà necessariamente ricorrere alle prestazioni di un nuovo professionista.

Riguardo alla tragica vicenda sembrano emergere particolari che potrebbero essere oggetto di approfondimenti, per arrivare a capire per quale motivo un uomo per bene, che amava profondamente la moglie e abituato ad assistere persone malate (è stato per anni consigliere dell’Unitalsi Ferrara) sia arrivato a compiere un gesto (l’accoltellamento della coniuge nel sonno) che nemmeno lui ora riesce a spiegarsi.

Si apprende infatti che l’uomo – che stava vivendo da qualche tempo con sofferenza la situazione di salute della moglie, colta da ictus invalidante – un paio di giorni prima dell’omicidio si era rivolto a uno psichiatra con l’intento di alleviare il proprio stato depressivo. Psichiatra che avrebbe prescritto a Francesco De Scisciolo l’assunzione di un farmaco antidepressivo, il “Trittico”, il cui principio attivo è il trazodone e fra i cui effetti indesiderati figurano, fra gli altri, “idee suicidarie o comportamento suicida, stato confusionale, insonnia, disorientamento, mania, ansietà, nervosismo, agitazione (che del tutto occasionalmente si esacerbano fino al delirio), delirio, reazione aggressiva, allucinazioni, incubi e altro ancora” (tratto dal foglietto illustrativo del farmaco, ndr).

Durante il colloquio avuto in carcere con i legali De Nunzio, il 73enne aveva ricordato quanto avvenuto senza capacitarsi di come aveva potuto compiere l’insano gesto, facendo ben capire che non era stata sua volontà. Quest’ultimo particolare emerso, dunque, potrebbe essere determinante nello stabilire se in quegli attimi di follia la volontà di De Scisciolo fosse offuscata da una reazione indesiderata al farmaco assunto, o se comunque lo stato depressivo in cui versava l’avrebbe portato comunque a questo temporaneo ‘tilt’ del proprio cervello.

 

Articolo originale

Bambino scappa dalla comunità: manifesteremo

Altro successo della psichiatria…

Bambino scappa dalla comunità: manifesteremo
L’incredibile storia di un bambino della Val Trompia che ha registrato gli abusi commessi su di lui dalla psicologa. Dopo ben tre fughe scappa a casa della mamma e non vuole più tornare in comunità.

Brescia. Il bambino di Lumezzane, già noto alla cronaca per l’incredibile allontanamento deciso dal giudice onorario e in sostanza ricopiato nel decreto dal collegio giudicante (vedi articolo Bambino allontanato coattivamente su decisione del giudice onorario?) è scappato per la quarta volta dalla comunità. Dopo ore di paura, è arrivato dalla mamma e ha subito detto di voler restare a casa con lei.
Voglio-stare-con-mia-mamma
La vicenda si inserisce nell’ambito delle ormai annose e intollerabili ingiustizie commesse sui minori a causa di valutazioni soggettive di natura psichiatrica e psicologica. Infatti, tramite valutazioni – per loro stessa natura soggettive e opinabili – alcuni psichiatri e psicologi, indottrinati sul modello biologico della mente, e incapaci di usare buon senso e umanità, possono indurre il Tribunale dei minori a prendere provvedimenti drastici e drammatici, allontanando i figli alla famiglia, collocandoli in comunità tutelari per minori, mettendoli poi sotto indagine, analisi e quant’altro. Nonostante le reiterate denunce del nostro comitato e di molti altri, queste vicende continuano purtroppo ad accadere.

E in questo caso la storia appare molto grave con un esposto presentato dalla famiglia del bambino all’Ordine degli Psicologi di Milano. Le disavventure di Massimo (nome di fantasia) iniziano con una separazione conflittuale in cui il bambino viene affidato alla zia paterna. Ma da subito Massimo manifesta la sua contrarietà a tale collocamento, tanto che nel 2015 fugge per tornare dalla mamma. A questo punto il Tribunale, in contrasto con la volontà del ragazzo, e a nostro avviso anche con le Convenzioni Internazionali sui diritti dei minori, dispone che venga collocato “temporaneamente” in una comunità per minori. Nel frattempo il bambino continua a insistere per tornare a casa dalla mamma. È a questo punto che la psicologa, che come ammesso da lei stessa non aveva neppure letto le carte, decide di “dire la verità” al bambino su alcuni avvenimenti successi in famiglia più di 15 anni fa (quando Massimo non era ancora nato) nel corso del tumultuoso e disastroso incontro con il bambino e gli altri figli della donna oggetto dell’esposto all’Ordine di cui sopra.

Secondo quanto sostenuto dalla mamma e corroborato da una registrazione fatta da uno dei suoi figli e consegnata all’Ordine, la psicologa avrebbe denigrato i genitori dicendo che non hanno imposto regole ai figli e che “non hanno mai insegnato loro niente”. Inoltre avrebbe sollecitato la rivelazione di fatti gravissimi accaduti in passato senza tutelare la salute psicofisica del minore. E quando la mamma le ha chiesto spiegazioni di questo suo comportamento avrebbe ammesso di non aver neppure letto le carte. Oltre a ciò, avrebbe anche detto al ragazzo che doveva scegliere tra i due genitori e salvarne almeno uno, cioè il papà: il “meno peggio”.

Dopo tale incontro, i disagi psicologici sul bambino sarebbero aumentati. Infatti quest’anno il bambino rischia di essere bocciato ed è scappato ben altre tre volte dalla comunità. Nonostante tutto ciò, sembra che la psicologa rimanga al suo posto.

Prima dell’odierna fuga, la mamma si è rivolta più volte all’assistente sociale per chiedere l’allontanamento della psicologa e un percorso volto a tutelare la salute psicofisica del figlio e a riparare ai danni commessi dalla psicologa stessa, ma l’assistente sociale si è rifiutata di rimuoverla affermando di avere “fiducia nella sua professionalità”. La mamma è andata anche dal Sindaco accompagnata dal Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus, ma dopo tante promesse non è successo nulla.

Alcuni giorni fa, l’ennesima figuraccia di questa psicologa. Nell’ultimo incontro la mamma, in merito al periodo di tre mesi del 2015 in cui il bambino era rimasto a casa con lei, ha chiesto: “Perché non ha fatto presente al tribunale che mio figlio si trovava bene a casa mia… quando siete venute a trovarlo”. Ed è rimasta basita dall’incredibile risposta della psicologa che ha affermato di non averlo comunicato perché “non ce l’ha chiesto nessuno”.

“Non sono una mamma perfetta.” ha dichiarato la donna. “Ho paura per mio figlio che ha messo in pericolo la sua vita per tornare dalla sua famiglia. Ora è scappato di nuovo ma nessuno lo ascolta veramente. E neanche io mi sento compresa: i Servizi Sociali mi hanno fissato un appuntamento per il 22 aprile, tra quasi 3 settimane. Ma io ho bisogno di aiuto subito! Non mi risulta neanche che questa psicologa sia stata rimossa. Vi prego di aiutarmi a tutelare mio figlio!”

“Perché un ragazzo deve arrivare a gesti tanto estremi, e pericolosi, per riuscire a farsi ascoltare? Questa è l’ennesima dimostrazione della superficialità e inadeguatezza dell’attuale sistema della giustizia minorile,” secondo Francesco Miraglia legale della mamma. “Il bambino ha dichiarato a gran voce la volontà di stare con la mamma, come ha ribadito chiaramente anche al giudice onorario durante l’ultima udienza. Una domanda nasce spontanea: perché tutti insieme non aiutiamo questo bambino a vivere nella propria famiglia? Penso che non manchino assistenti sociali, pedagogisti, educatori ecc. che possano seguire questo bambino nella propria famiglia.”

Di fronte alla cecità delle istituzioni nei confronti di questo bambino e alla recente fuga del bambino, il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus ha deciso di indire una manifestazione davanti al Comune di Lumezzane per chiedere al Sindaco di intervenire concretamente a tutela del suo cittadino. La manifestazione si terrà il 7 maggio 2016 alle ore 11.00 davanti al municipio di Lumezzane in Via Monsuello 154.

Invitiamo tutta la cittadinanza. Chiediamo anche ai cittadini e alle famiglie della zona di denunciare qualsiasi situazione simile e/o abuso o maltrattamento psicologico da parte di psicologi e psichiatri ai danni della loro famiglia e/o dei loro figli. Sospettiamo che non sia l’unico caso.

Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus
Sonia Manenti – CCDU gruppo di Brescia
brescia@ccdu.org – Cellulare: 348.5642869

Infermiera killer: un altro successo della psichiatria

Chissà perché non sono sorpreso che l’infermiera fosse in cura psichiatrica!

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L’infermiera killer era depressa e con problemi di alcol e psicofarmaci

Tredici pazienti uccisi con inutili dosi di eparina
ANSA

I Nas durante la perquisizione in ospedale

31/03/2016
STEFANO PEZZINI
PIOMBINO (LIVORNO)

Era depressa, usava ed abusava di alcol e psicofarmaci: non c’è un motivo vero e proprio ma una situazione psicologica che avrebbe trasformato una infermiera di lungo corso in una presunta assassina, accusata di aver ucciso volontariamente 13 pazienti ricoverati all’ospedale di Piombino, provincia di Livorno. Fausta Bonino, 55 anni, originaria di Savona ma dagli anni ’80 in Toscana assieme al marito e ai due figli, lavorava nel reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Piombino. I Carabinieri del Nas le contestano l’accusa di omicidio continuato aggravato a danno di pazienti. Fausta Bonino avrebbe utilizzato dosi massicce di eparina, un farmaco anticoagulante non previsto dalle terapie prescritte alle vittime, per uccidere i pazienti. La presenza di questo farmaco è stata riscontrata nei rispettivi esami ematochimici effettuati sui pazienti nel corso dell’ordinario monitoraggio clinico, che hanno evidenziato una concentrazione, in alcuni casi, anche 10 volte superiore rispetto a quelle compatibili con le consentite dosi terapeutiche. I pazienti deceduti per emorragia, uomini e donne di età compresa fra i 61 e gli 88 anni, in molti casi avevano patologie per le quali la somministrazione dell’eparina non rientrava nelle possibili terapie. L’infermiera, proprio per l’alta percentuale di decessi nel reparto dove lavorava, era stata trasferita. E dopo il trasferimento nel reparto dove prestava servizio si è passati dal 20% al 12% del tasso di mortalità. Abbastanza per fare scattare l’indagine dei carabinieri.

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Sparatoria all’Umpqua Community College: altro successo della psichiatria?

Mentre Obama è indaffarato a far credere che la causa delle 39 sparatorie da quando si è insediato sia nelle armi stesse (e non lo stato mentale di chi le usa), persone innocenti continuano a morire e i sopravvissuti a soffrire.

Quanto dovrà durare ancora prima che i veri colpevoli comincino a pagare?


Oregon: Another Mass Shooting, Another Psychiatric Drug? 35 School Shootings/Mass Stabbings Tied to Psychiatric Drugs

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Despite 22 international drug regulatory warnings citing violence, psychosis, mania and even homicidal ideation as side effects of these drugs, there has yet to be a federal investigation to determine the extent of mass induced acts of violence that could be caused by psychiatric drug use.

By Kelly Patricia O’Meara
October 2, 2015

Law enforcement officials identified 26-year old, Chris Harper Mercer, as the gunman who, yesterday, killed 10 people and wounded seven others at Umpqua Community College in southwestern Oregon. It appears Mercer is another in a long list of school shooters who have a history of mental health services and, more likely than not, had been prescribed psychiatric drugs.

Like so many of the recent perpetrators of mass violence, Mercer’s mental health history is well documented having, according to the Los Angeles Times, graduated from the Switzer Learning Center in Torrance, Ca., which serves students from 3rd grade to 22 years of age who have moderate to severe learning disabilities, emotional issues, attention problems and behavioral disorders. One former neighbor told the press, “she (Mercer’s mother) said, ‘My son is dealing with some mental issues.” The only question that remains unanswered is what psychiatric diagnosis had Mercer been labeled with and what was his psychiatric drug “treatment” regimen?

It is equally important to note that this mass attack occurred within a couple of weeks of the mainstream press, such as the LA Times and Reuters, exposing the link between antidepressants and violence. The recently released research reveals that 15 to 24 year olds taking antidepressants were nearly 50% more likely to be convicted of a violent crime such as homicide, assault, arson, robbery, kidnapping and sexual assault offenses when taking antidepressants than when they were not.

Given that at least 35 school shootings and/or school associated acts of violence (which includes guns, knives, and swords) with 169 wounded and 79 killed have been committed by students and others taking or withdrawing from psychiatric drugs, consideration of this connection can no longer be ignored.

According to an article posted in the Oregonian, “There are a number of indications that Mercer had mental health or behavioral issues. His screen name on some social media sites was ‘lithium love.’ Lithium is a psychiatric medication.

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A neighbor told The New York Times that Mercer’s mother had told a neighbor “My son is dealing with some mental issues,” and the U.S. Army confirmed Friday it discharged Mercer after he spent a month in basic training in 2008. “A review of Army records indicate that Christopher Sean Harper-Mercer was in service at Ft. Jackson, S.C., from 5 November-11 December 2008 but discharged for failing to meet the minimum administrative standards to serve in the U.S. Army,”

The list of recent mass shooters with a history of mental health services and psychiatric drug “treatment” include John Russell Houser who, in July of this year, opened fire in a Lafayette, LA, movie theater, Aurora, Co., shooter, James Holmes, Fort Hood shooter, Ivan Lopez and Washington Navy Yard shooter, Aaron Alexis.

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All the above had been prescribed psychiatric drugs known to cause hostility, abnormal behavior, mania, violence, and suicidal and homicidal ideation and carry serious drug warnings both in the U.S. and internationally. Despite 22 international drug regulatory warnings citing violence, psychosis, mania and even homicidal ideation as side effects of these drugs, there has yet to be a federal investigation to determine the extent of mass induced acts of violence that could be caused by psychiatric drug use.

Given the obvious adverse events associated with psychiatric drug “treatment,” whether Mercer has a psychiatric drug history may be key to understanding the violent behavior.

Michael Moore, filmmaker, Bowling for Columbine: “In bowling for Columbine we never really came up with the answer in terms of why this happened…. I think we did a good job of really exposing all the reasons that were given were a bunch of BS, you know Marilyn Manson caused them to do it, this this or that caused them to do it and none of it really made any sense.

“That’s why I believe there should be an investigation in terms of what pharmaceuticals, prescribed pharmaceuticals these kids were on…. Imagine how people would totally rethink things, grasping for every little straw they can to explain how something like columbine happens when it could be nothing more than this.

“It’s an extremely legitimate question to post and it demands and investigation.”

Kelly Patricia O’Meara is an award-winning former investigative reporter for the Washington Times’ Insight Magazine, penning dozens of articles exposing the fraud of psychiatric diagnosis and the dangers of the psychiatric drugs—including her ground-breaking 1999 cover story, “Guns & Doses,” exposing the link between psychiatric drugs and acts of senseless violence. She is also the author of the highly acclaimed book, Psyched Out: How Psychiatry Sells Mental Illness and Pushes Pills that Kill. Prior to working as an investigative journalist, O’Meara spent sixteen years on Capitol Hill as a congressional staffer to four Members of Congress. She holds a B.S. in Political Science from the University of Maryland.

Fonte: http://www.cchrint.org/2015/10/02/oregon-another-mass-shooting-another-psychiatric-drug-35-school-shootingsmass-stabbings-tied-to-psychiatric-drugs/

psicobaggianate in bermuda e infradito

Tensione padre-operatori: lo psichiatra “condanna” il padre a visite protette con il figlio

Per il CTU è “molto probabile” che il bambino abbia “percepito” o assistito a tensioni e discussioni tra il padre e gli operatori. Soluzione: visite protette e padre inviato dallo psichiatra.
Rovereto. Dopo i recenti miglioramenti della giustizia minorile trentina, speravamo di non dover più assistere all’appiattimento dei giudici su perizie psichiatriche soggettive: purtroppo non è così. Un padre di Rovereto si è rivolto a noi per segnalare la perizia di uno psichiatra trentino che malauguratamente conosciamo già.
Di questo psichiatra si erano già occupati i giornali locali, quando era stato segnalato per essersi presentato da un padre in pantaloncini e ciabatte nel corso di una perizia ufficiale del tribunale. Il padre, ex ufficiale della Guardia di finanza che aveva cresciuto cinque figli fino alla maggiore età, aveva definito pubblicamente la perizia di questo consulente come un “capolavoro di superficialità e contraddizioni”. Non è tutto. Questo stesso psichiatra era stato segnalato dai media per aver partecipato a una perizia in cui, in soli 45 minuti e con un bambino di 9 mesi in braccio, a una mamma era stato ravvisato un “vero e proprio disturbo psichiatrico (disturbo di personalità) con tratti personologici di tipo narcisistico.”
Tornando alla vicenda in questione, lo psichiatra scrive espressamente: “… questo CTU ritiene che questa difficoltà di Sergio (nome di fantasia) vada principalmente riferita a dei fattori ambientali che hanno innescato una viva emotività e timore: stando a quanto è ricostruibile dalla documentazione analizzata, è molto probabile che il minore abbia percepito o abbia assistito a qualche tensione o discussione tra il padre e gli operatori attivati.” Nel paragrafo successivo, però, in merito al disagio di Sergio, il perito ammette la “difficoltà di individuarne delle ragioni precise…”. Nonostante quest’incertezza, si dispone che il padre debba vedere il figlio in visite protette, consigliando addirittura la presa in carico da parte di uno psichiatra (in palese violazione di una recentissima sentenza della Cassazione che ha stabilito il divieto d’imporre trattamenti terapeutici ai genitori perché in contrasto col divieto d’imporre trattamenti sanitari).
Certamente c’è la necessità di tutelare un bambino, ma la decisione del consulente di non autorizzare le visite libere con il padre sembra incomprensibile, e non possiamo esimerci dal segnalare l’apparente appiattimento del tribunale sulle valutazioni di questo perito, le perplessità suscitate dalla valutazione di cui sopra e altre possibili irregolarità che abbiamo riscontrato:

  • Pare che il consulente abbia fatto al bambino delle domande suggestive (e dei disegni suggestivi) incontrandolo a casa della madre, senza neppure vedere il bambino con il padre per fare un confronto tra le due realtà.
  • Il consulente non avrebbe incluso nella perizia le ultime relazioni positive in merito ai rapporti tra padre e figlio, e avrebbe addirittura omesso di riferire l’avvio di un percorso di visite libere padre-figlio finalizzato alla liberalizzazione degli incontri (come chiesto dai Servizi stessi al Tribunale dei Minori in base a indicazioni della psicoterapeuta incaricata). Percorso interrotto per la negazione degli accordi da parte della madre, cosa inaspettatamente recepita dal servizio sociale.
  • Il consulente avrebbe incontrato gli Assistenti sociali nonostante un contenzioso penale in corso tra il padre e gli stessi, e una richiesta di azione disciplinare inoltrata all’Ordine regionale, e quindi in presenza di un palese conflitto d’interessi.

Chiediamo sia fatta chiarezza augurandoci che l’Ordine dei Medici decida di indagare, anche in assenza di un esposto, come ha fatto recentemente l’Ordine degli Assistenti sociali. Invitiamo altresì altri genitori e cittadini a farsi avanti e a denunciare qualsiasi abuso subito a causa di perizie o valutazioni di natura psicologica e psichiatrica. Il clima è cambiato, ma la tendenza a emettere sentenze basate solo su perizie pseudoscientifiche, per loro natura soggettive e arbitrarie, è dura a morire: occorre continuare l’opera di denuncia e informazione, per una riforma radicale del diritto minorile.

Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus

giovane ballerina vittima di psicobaggianate

Ferrara si mobilita per la giovane ballerina

Ferrara si mobilita per la giovane ballerina

Il giudice di Roma vorrebbe costringerla a vivere in una casa famiglia, impedendole di frequentare la scuola di ballo, ma gli amici di Ferrara lanciano un gruppo Facebook con più di 2000 aderenti in soli due giorni. Sullo sfondo, perizie pseudoscientifiche e centri di accoglienza più costosi di un albergo di lusso.

FERRARA. Solo pochi giorni fa è uscita la notizia di quanto rischia di succedere a una quattordicenne di Ferrara: un giudice del Tribunale di Roma vorrebbe allontanarla dalla madre, per destinarla a una casa famiglia. Questo, oltre a negarle drammaticamente gli affetti famigliari, renderebbe impossibile la frequentazione presso la prestigiosa scuola di danza Aida di Milano, dove è stata ammessa, e probabilmente rovinerebbe il suo sogno di diventare una ballerina professionista.

Ma la gente di Ferrara non ci sta. Alcuni amici della ragazza hanno fondato il gruppo “Amici della giovane promessa ferrarese della danza” che in due soli giorni è arrivato a più di 2000 iscritti, con commenti tra l’incredulo e il furioso:

  • “Anche la danza adesso e motivo di allontanamento? Siamo davvero oltre la frutta…”

  • “Questi sarebbero da rinchiudere in manicomio sono pazzi i Servizi Sociali! Ma lasciate stare i bambini e le famiglie e andate a zappare la terra…”
  • “Sono i casini di una mala giustizia e di neuropsichiatri, figure inutili, quale professionalità? Ditemi voi a che serve e cosa cavolo fa un neuropsichiatra?”
  • “Diversi consulenti dei Tribunali minorili di Roma ma anche di Foggia, di Taranto, di Lecce, di Potenza ecc. non sono oculati, sono superficiali, impreparati e dannosi e il giudice di turno prende come verità tutto quello che hanno scritto con leggerezza”;

Decine di commenti, anche irripetibili.

La realtà supera la fantasia

Il tutto nasce da una separazione conflittuale. Il padre trasferitosi all’estero è rientrato in Italia l’anno scorso chiedendo di costruire un rapporto con la figlia ormai preadolescente. La madre acconsente senza problemi finché la figlia non inizia a mostrare avversione per le visite con il padre. Viene quindi chiamato il Tribunale e il giudice – ascoltando la ragazza – viene a conoscenza di alcuni atteggiamenti troppo morbosi da parte del papà. Viene quindi presentata una denuncia: l’incidente probatorio è fissato per il prossimo ottobre.

Come spesso succede in questi casi, il giudice richiede il parere di un Consulente tecnico d’ufficio, un neuropsichiatra infantile di Roma, al fine di comprendere meglio la vicenda. Secondo lo psichiatra, la bambina va allontanata dalla madre. La (cosiddetta) perizia è tutta un programma:

“Nessuno [degli] attori della vicenda è mai stato ricoverato in un servizio psichiatrico, né abbiamo certificazioni ed esami che ci mostrino ed evidenzino uno stato di psicopatologia dell’uno o dell’altro. D’altro canto la situazione è fortemente patologica e si trascina da circa dodici anni, ci è quindi necessario definire cosa intendiamo per patologia al di fuori, o meglio, oltre la nosografia psichiatrica.”

La nosografia è lo studio puramente descrittivo delle malattie. L’ultima frase, in parole povere, significa: ‘non ci risulta che queste persone (inclusa la ragazza) soffrano di una qualsivoglia malattia psichiatrica assodata, perciò ce la dobbiamo inventare’.

Non si tratta di un caso isolato. Uno psicologo di Trento ha scritto in una perizia che una violenza sessuale era una “mancanza di delicatezza”, mentre uno psichiatra, sempre di Trento, ha accolto un papà per una consulenza in pantaloncini e ciabatte, e in un altro caso ha diagnosticato una malattia mentale a una mamma in soli 45 minuti, facendole perdere la custodia del figlio.

Perizie pseudoscientifiche e rimborsi d’oro per i centri di accoglienza

Tutto ciò ha origine dalla discrezionalità di discipline come la psichiatria e psicologia e porta a innumerevoli abusi ed errori, come scrive sagacemente lo psicologo Giuseppe Raspadori:

“È l’unico campo, si badi bene, in cui avviene che uno «scienziato» possa permettersi il lusso di diagnosticare una patologia grave e un altro suo pari affermare che la stessa persona è perfettamente sana. Non avviene in nessun altro campo della medicina. Ma nessuno batte ciglio, o osa chiedere i danni di tanto arbitrio, o mandare tutti al diavolo.”

Forse sarebbe ora di “mandare al diavolo” queste discipline da qualsiasi ambito giuridico: molti, troppi, bambini soffrono a causa di queste valutazioni discrezionali. Per di più le famiglie o le parti meno abbienti non hanno la possibilità di difendersi adeguatamente per via dell’alto costo delle consulenze di parte – un grosso affare per i centri di accoglienza che, per ogni bambino, ricevono dallo Stato un pagamento di svariate centinaia di euro al giorno: più cari di un hotel a 5 stelle!

Pubblicato Mar, 04/08/2015 – 14:39

Fonte: https://www.ccdu.org/comunicati/ferrara-mobilita-giovane-ballerina

Caso Stella: basta psicobaggianate!

Stella: esposto all’Ordine sull’assistente sociale

imageAveva registrato di nascosto le intimidazioni dell’assistente sociale che a tutt’oggi non ha ancora trasferito la pratica impedendo di fatto le visite con la bambina.

Trento. Si sta complicando l’assurda vicenda di Stella, una bambina trentina di tredici anni che, di nascosto, aveva registrato il comportamento riprovevole dell’assistente sociale. Dopo più di un mese, la richiesta ufficiale dell’avvocato della coppia Francesco Miraglia di trasferire la pratica a Trento, dove ora risiedono i genitori, non è ancora stata accolta. Questo impedisce ai genitori di essere adeguatamente assistiti nel recupero della genitorialità al fine di accogliere la supplica incessante della bambina di tornare a casa. Ma, cosa ancor più grave, ostacola di fatto le visite della bambina, dato che l’assistente sociale, nonostante tutto quello che è successo, pretende che la famiglia faccia la richiesta a lei di poter vedere la figlia, prima di organizzare l’incontro.
Di conseguenza la famiglia è stata costretta a presentare un esposto all’Ordine degli Assistenti Sociali, con tanto di registrazione, nei confronti dell’assistente sociale. «Siamo amareggiati dell’accanimento di questa assistente contro la nostra famiglia. Noi volevamo solamente che la supplica di nostra figlia, che chiede disperatamente aiuto per tornare in famiglia, venisse ascoltata!!!» Ha dichiarato la mamma di Stella.
Secondo il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani: «Dallo studio delle carte e dall’ascolto della registrazione appare evidente che la formazione dell’assistente sociale in questione è impregnata dei principi e concetti di una certa psichiatria istituzionale e coercitiva, e la pervicacia con cui sembra avvinghiarsi a questa vicenda è tipica di questo tipo di psichiatria che vede le persone più come “pazzi” o come “famiglie disagiate” da controllare e assoggettare, piuttosto che come esseri umani da ascoltare, comprendere e aiutare.
A parere di questo assistente sociale il fatto di “essere troppo preoccupati dei problemi personali per pensare alla figlia” è una motivazione per l’allontanamento di un bambino? Oppure il fatto che un bambino “stia in braccio un po’ a tutti” è un indicatore di abuso? Invece di fossilizzarci su queste stupidaggini, dovremmo chiederci: perché la bambina supplica di poter tornare in famiglia?
Ci auguriamo che il Tribunale decida di tornare al buon senso e alla ragione. Ci auguriamo anche che le perizie e valutazioni psichiatriche e psicologiche siano rimosse dalle aule di giustizia: troppi bambini stanno soffrendo per colpa di queste psico-baggianate, è ora di capire che il re è nudo.
Chiediamo altresì all’Ordine di verificare se, oltre al caso in questione, questa assistente sociale si comporti così anche con altre famiglie!»
Ma c’è una speranza. L’assessore alle Politiche Sociali di Trento ha accolto la richiesta dei genitori di iniziare un percorso di rafforzamento della genitorialità che è già sul tavolo del polo sociale di riferimento. Della vicenda si sta occupando anche il Garante dei minori, ed è stata richiamata in due separate interrogazioni dell’onorevole Giacomo Bezzi di Forza Italia e del Consigliere Filippo Degasperi del Movimento 5 Stelle.

Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus

Quello che segue, è tutt’altro che un episodio isolato di violenza psichiatrica

Quel giorno, il 10 ottobre 2005, subii una violenza fisica e mentale, una violenza inaudita…

Violenza TSOCome può una ragazza immaginare che, a causa di una semplice sofferenza emotiva, in pochi mesi si possa trovare a lottare per la propria libertà contro coloro che dovrebbero invece aiutarla. Come si può pensare che, in richiesta di aiuto, si possa ricevere un trattamento degno del più pericoloso dei serial killer. Eppure è ciò che è successo:

Sono una ragazza di 33 anni ed abito in Versilia. Nell’ottobre 2005 ho subito un T.S.O.

Alcuni mesi prima mi ero rivolta ad uno psichiatra privato di Massa, il dottor G.A., per un malessere provocato da una serie di eventi stressanti che si erano verificati nella mia vita familiare e lavorativa. Il dott. G.A. mi prescrisse Anafranil 75 mg, 2 compresse al giorno, Lexotan, 20-30 gocce al bisogno. Mi sentivo un po’ meglio ma il Lexotan su di me non aveva effetto: o non avevo bisogno di prenderlo o, se mi trovavo in una situazione che generava preoccupazione, non era efficace. Così nei mesi successivi torno un paio di volte dal dott. G.A. chiedendogli di prescrivermi un ansiolitico diverso.

Entrambe le volte mi ha risposto:

No, non cambiamo farmaco, continua a usare il Lexotan, ne puoi prendere anche 50-60 gocce fino a 3-4 volte al giorno se ne senti il bisogno, tanto prima che ti avveleni con il Lexotan ne puoi bere anche 2 boccette.

Era presente anche il mio fidanzato (infatti nei mesi successivi è capitato che anche lui in situazioni emotivamente difficili assumesse Lexotan).

Passa un po’ di tempo, durante il quale io non prendo tutte le gocce che il dott. G.A. mi ha consigliato, perché mi sembra una dose esagerata.

Il 10 ottobre io e mia madre abbiamo una discussione, un chiarimento come succede in tutte le famiglie, niente di particolare: non ci picchiamo, non volano i piatti. In quell’occasione io prendo le 60 gocce di Lexotan e mia madre vedendomi farlo, teme che possano farmi male; io le dico che è stato lo psichiatra. a dirmi che potevo prenderle e lei lo chiama per chiedergli se era vero. Lui per telefono nega, forse rendendosi conto di avermi consigliato una cosa assurda, per evitare una figuraccia. Dice a mia madre che avrebbe mandato il 118 e parlato con il medico dell’ambulanza dicendogli di prescrivermi un altro farmaco, e riaggancia senza darle la possibilità di rispondere.

Dopo 10 minuti arrivano sotto casa mia due ambulanze, una per me e una per mia madre, come spiegato la sera stessa a mia madre da uno psichiatra del reparto. La dott.ssa A.B. di Massa entra in casa parlando al telefono col dott. G.A.; si rivolge a mia madre e a mia nonna in modo aggressivo, ordinando loro di uscire dalla stanza. Io rimango lì, seduta sul divano, mentre la dott.ssa A.B. continua a parlare per telefono con lo psichiatra. Non mi guarda, non mi visita, non mi chiede niente, non mi chiede cosa è successo né come mi sento.

Io chiamo mia mamma per chiederle di portarmi il telefono e lei rientra nel salotto. La dott.ssa A.B. la affronta urlando: “Cosa ci fa lei qui, le ho detto di andarsene!” Mia madre si arrabbia e le risponde: “No, a questo punto se ne va lei“. La dott.ssa minaccia: “Guardi che chiamo i carabinieri” e mia madre: “No, i carabinieri li chiamo io!“, riuscendo a far uscire la dott.ssa. Ma le ambulanze non se ne vanno: rimangono lì, davanti al cancello.

Mia madre, spaventata dall’atteggiamento dei sanitari, chiama un suo conoscente, il maresciallo dei carabinieri L.L., che viene insieme a un collega. Il maresciallo mi propone di chiamare il suo medico di famiglia e io accetto, perché dopo la discussione e la venuta delle ambulanze sono spaventata: il comportamento della dott.ssa A.B. mi aveva terrorizzata. Arriva il medico, dott. G.L. e si rende conto che la situazione non è poi così grave; mi fa mezza fiala di Valium. Mentre il medico mi fa l’iniezione i carabinieri dicono alla dott.ssa A.B. di andarsene perché non c’è bisogno di lei, non c’è bisogno di niente.

Le ambulanze se ne vanno, ma dopo circa 10-20 minuti tornano con un provvedimento A.S.O. (accertamento sanitario obbligatorio) firmato dal sindaco e richiesto dalla dott.ssa A.B., medico non psichiatra (del 118 di Massa, mentre io sono della provincia di Lucca, cioè fuori dalle sue competenza territoriali)

Non c’era l’urgenza di un di fare un A.S.O. altrimenti perché non lo aveva proposto il dott. G.L.? La situazione era calma, io non rifiutavo le cure, il medico era venuto a casa mia facendomi un’iniezione: mancavano le condizioni necessarie per un ricovero ospedaliero.

L’A.S.O. in ospedale verrà trasformato in T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio) con la motivazione di “agitazione psicomotoria”. Dopo essere stata portata via da casa con la forza, mentre non stavo facendo niente, da una dottoressa che si è presentata senza essere stata chiamata, “agitazione psicomotoria” è proprio il minimo che potessi avere!

Mia madre non vuole far entrare il personale dell’ambulanza così loro forzano il cancello, entrano con la forza e la legano, braccia e gambe, per impedirle di difendermi. Mia nonna è spaventata e grida, ma un infermiere le dice di stare zitta. La dott.ssa A.B. mi dice che devo seguirla, altrimenti mi avrebbe portata via con la forza. Salgo sull’ambulanza e piango, sono spaventata e piango, dico che voglio dormire , che voglio essere lasciata in pace e voglio dormire. Sull’ambulanza mi viene fatta una fiala di Largactil.

Mi portano in psichiatria, mi lasciano lì e nessuno mi dice niente. Io piango, sono spaventata, sia a causa della scena violenta avvenuta poco prima a casa, sia perché non capisco per quale motivo sono stata portata lì in quel modo, senza aver fatto nulla. Non posso uscire e non so quando potrò uscire. Gli psicofarmaci che ho assunto non mi calmano ed anzi pregiudicano la mia capacità di comprendere quanto sta succedendo così come la mia capacità di esprimermi chiaramente.

Da questo momento non ricordo più niente fino a parecchie ore dopo, quando mi sveglio legata al letto senza sapere il perché e senza neanche il coraggio di chiederlo. Cerco di restare calma; non reagisco, non chiedo niente ed accetto tutto, perché capisco che reagire potrebbe essere pericoloso. Sono terrorizzata. Mi lasciano ancora a lungo legata al letto, fino alla sera, all’orario delle visite, quando mi tolgono le cinghie perché mia madre non mi veda in quel modo. La fanno entrare dopo averle perquisito la borsa, accompagnata da due guardie giurate con la pistola bene in vista.

Mia madre si rivolge subito ad un avvocato ed il 13 ottobre verrò dimessa.

Durante il T.S.O. vengo trattata con psicofarmaci, prevalentemente neurolettici, soprattutto il primo giorno: Largactil, Tavor, Valium, Risperdal, Stilnox….

Naturalmente nessuno si preoccupa di capire se la mia agitazione possa in realtà essere dovuta ai farmaci precedentemente assunti: le benzodiazepine (Lexotan, Valium, Tavor) possono provocare stati d’agitazione e i neurolettici (Largactil, Risperdal) possono anch’essi provocare forti stati di agitazione psicomotoria (acatisia) e addirittura portare a delirio e allucinazioni. Non mi hanno fatto esami del sangue volti a chiarire se la situazione potesse essere dovuta a reazioni paradosso agli psicofarmaci, ma hanno continuato a somministrarmene fino a stendermi.

In reparto dormo costantemente e sbavo continuamente. Nei momenti in cui mi risveglio mi trovo tutti i capelli appiccicati al viso e al cuscino, tutti pieni di saliva.

All’orario dei pasti non mi è permesso alzarmi dal letto per mangiare nella sala, come fanno tutte le altre degenti. Non posso uscire dalla stanza. Solo il quarto giorno, poco prima di essere dimessa, mi viene permesso di pranzare nella sala, così chiedo ad una ragazza come si trovi in quel reparto e lei mi risponde: “E’ come un carcere”.

Durante il T.S.O. nessun medico mi visita. La terza sera passa il primario, M.D.F. seguito da altri psichiatri, a cui dice riferendosi a me: “Questa ragazza non ha niente, ha solo litigato con la madre” e passano oltre.

Sempre la terza sera vedo un’altra cosa che mi sembra un po’ strana: passa l’infermiera con il carrello dei farmaci dove ci sono tutti i bicchierini con le pasticche e i nomi delle ricoverate. Dentro i bicchierini c’è sempre lo stesso farmaco in diverse dosi: Risperdal, un neurolettico. Così tutte assumevamo lo stesso farmaco, a prescindere da quali fossero i disturbi lamentati e dal perché ci trovassimo lì.

II quarto giorno, quando vengo dimessa, vengo sottoposta ad un colloquio con la dott.ssa M.G.. Lei mi fa diverse domande e io rispondo con calma. Diversi mesi dopo, quando ritiro e leggo la mia cartella clinica, mi accorgo che lei ha selezionato e strumentalizzato le mie parole, rigirandole in modo da giustificare una diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo.

Esattamente in quell’occasione dissi che la mia vita nell’arco dell’ultimo anno era cambiata completamente e che si erano verificate molte situazioni problematiche. Ero costantemente preoccupata, al punto che non riuscivo a smettere di pensare a come avrei potuto risolvere tutte quelle situazioni nuove che si erano presentate: la mia mente era sempre occupata nella ricerca di una soluzione per i miei problemi pratici. Tutti questi problemi mi avevano buttato giù di morale e per questo mi ero rivolta al dott. G.A.. Raccontai di come la meditazione, disciplina che praticavo da anni, mi fosse di grande aiuto in quel periodo. Questa consiste in pratiche di concentrazione volte a calmare il pensiero che è indisciplinato, tendiamo cioè a pensare e reagire in modo automatico secondo modelli precostituiti ed abitudinari. Mediante questo allenamento è possibile imparare a pensare in modo attivo, slegato dai modelli abitudinari di pensieri e reazioni, al fine di risolvere in modo creativo i problemi che si presentano in base alla situazione presente, adottare soluzioni nuove a nuovi problemi, anziché vecchie soluzioni a nuovi problemi.

Leggendo la cartella clinica mi accorgo anche che sugli appunti del 10 ottobre ci sono delle cose che io ho detto il 13 ottobre alla dottoressa M.G.: mi sembra improbabile se non impossibile che io abbia detto le stesse cose e con le stesse parole in due momenti diversi.

Vengo dimessa con un prescrizione di Risperdal, 7,5 mg al giorno, un dosaggio anche abbastanza alto di un farmaco pericoloso, che tra l’altro non è neanche adeguato alla diagnosi (di un disturbo che non ho!). Naturalmente non vengo avvertita dei rischi, non mi viene data alcuna informazione sul farmaco, che mi viene consegnato direttamente dalla dott.ssa e dalla cui confezione manca il foglietto illustrativo.

Sempre al momento della dimissione vengo informata, insieme a mia madre e al mio fidanzato, che mi è stata fatta una puntura e che dovrò tornare lì a ripeterla. Tale iniezione nella cartella clinica non è stata annotata!

Subito prima di essere dimessa viene a parlarmi anche il primario: dice di aver litigato per telefono con il dott. G.A. e che non devo prendere mai più Anafranil, che DEVO scegliere uno psichiatra della struttura e andare lì a curarmi. Dice che DEVO prendere assolutamente il Risperdal (strano perché la sera prima aveva detto che io non avevo niente!). Mi parla con un tono di voce piuttosto autoritario, ripetendo le cose più volte come se si rivolgesse ad una persona che non capisce, mentre io ero solo intontita dai farmaci. Dice al mio fidanzato che non deve farmi tornare a casa, che deve tenermi lontano da mia madre e che se non si prende questa responsabilità non mi faranno uscire (ma che ne sa dei miei rapporti con mia madre, visto che non aveva mai parlato né con me né con lei?).

Tornata a casa sto molto male, sia a causa della violenza subita, sia a causa dei farmaci che continuo a prendere credendo di averne bisogno.

Sbavo, non riesco a parlare correttamente, quando cammino inciampo spesso e cado; incontinenza, insensibilità al dolore, la luce mi da fastidio e i miei sensi sono ovattati; mi viene febbre e una bronchite che durerà fino alla metà dell’estate 2006. Non riesco a far niente, non trovo la forza di alzarmi dal letto, vestirmi e uscire; non riesco più a pensare in modo attivo, ad applicarmi nella ricerca di soluzioni pratiche ai miei problemi quotidiani. Non riesco a concentrarmi su niente, a leggere e neanche a guardare programmi televisivi. Piango spesso, perché la mia vita è completamente cambiata in modo violento e improvviso in seguito al T.S.O.. Ho delle macchie marroni nell’occhio destro e tutta la parte sinistra del viso è eccessivamente rilassata e cadente, mentre la parte destra è contratta; ho spasmi intorno agli occhi e quando parlo storgo la bocca verso destra.

Stavo sempre peggio e non avevo idea che quelli fossero effetti collaterali del Risperdal che provoca ansia, tristezza, sofferenza interiore molto forte e mancanza di voglia di agire.

Ho continuato a prendere il Risperdal per circa 1 mese.

Durante questo periodo il mio fidanzato, vedendo che stavo peggiorando a vista d’occhio, si rivolse al reparto per chiedere cosa dovevo fare, ma venne fermato da un infermiere che gli disse: “Non la riportare assolutamente qui, perché te la ricoverano di nuovo e alla fine te la rovinano del tutto”.

Dopo un mese trovo un libro, “Chimica per l’anima”, capisco cosa sono i neurolettici e interrompo di colpo e di mia volontà l’assunzione del Risperdal.

Stavo molto male e mi ero rivolta nuovamente al dott. G.A. Nella confusione dell’accaduto e a causa dei farmaci che limitavano la mia capacità di comprensione degli eventi, non avevo capito che era stato lui a farmi ricoverare, io credevo fosse stata la dott.ssa A.B.

Ci torno diverse volte e lui cerca di mettere me e il mio fidanzato contro mia madre e il mio fidanzato contro di me. Ci fa credere che la dott.ssa A.B ha richiesto l’ASO a causa del comportamento di mia madre. Continua a insistere sia con me che con il mio fidanzato che è mia madre la causa del mio malessere, che mi avrebbe rovinato la vita (cosa che diceva spesso anche prima del T.S.O.) e che è lei che deve essere curata.

Insiste così tanto che alla fine io e il mio fidanzato convinciamo mia madre a fare una visita con lo psichiatra che ci consiglia: un certo dott. B.A. Mesi dopo leggerò sulla mia cartella clinica il nome dello psichiatra che ha richiesto il T.S.O. mentre ero in reparto: il dott. B.A., lo stesso amico del dott. G.A. da cui avevamo portato mia madre! Ripensandoci, ricordai come tale dott. B.A. durante la visita con mia madre sembrasse molto imbarazzato: io non lo avevo riconosciuto, ma lui probabilmente si ricordava di me.

Il dott. G.A. insisteva anche su un’altra cosa: io dovevo andare via da casa di mia madre. Cercava di convincere il mio fidanzato a vendere la sua casa a Massa per prenderne una per me ad Ortonovo, dove lui, così disse, aveva il controllo del 118. Gli disse letteralmente: “Così, se la porta ad Ortonovo, ce l’ho sotto la mia cappella”; questo potrebbe anche significare “sotto il mio controllo”, ma è anche un doppio senso osceno perché in dialetto cappella significa glande. Mi soffermo su questo particolare poiché lo psichiatra mi aveva già fatto domande strane in passato, del genere “Ma tu desideri il tuo fidanzato? Non è che hai fantasie sessuali verso uomini più anziani di te, figure paterne, che ti diano un senso di autorità e potere?”. Queste cose le avevo anche riferite al mio fidanzato, ma lui, plagiato com’era, mi rispondeva che secondo lui erano domande normali, che ero io a trovarle strane “Perché mi fisso, perché sono ossessiva compulsiva”, come gli aveva insegnato a dire il dott. G.A..

Il mio ragazzo era preoccupato per me e lo aveva chiamato per telefono diverse volte, a mia insaputa, chiedendogli cosa poteva fare per me, come mi poteva aiutare (io piangevo sempre ma lui non poteva sapere che la causa erano i neurolettici). Egli gli aveva risposto che lui non poteva fare niente per me, “Che la cosa migliore era lasciarmi nelle sue mani, perché solo lui poteva curarmi, perché io ero gravemente malata e non mi rendevo conto della mia malattia. La scelta migliore sarebbe stata lasciarmi, altrimenti io avrei rovinato anche la sua vita, tanto oramai io non sarei stata più bene, sarei costantemente peggiorata, e le persone malate di mente distruggono la vita a chi gli sta vicino.”

L’ultima volta che vado dal dott. G.A, c’è una signora in sala d’aspetto: è in cura da lui da 10 anni con psicofarmaci neurolettici; racconta diverse cose sulla sua vita e su come l’ha curata il dott. G.A.. Sembra innamorata di lui! Quando il dottore arriva io, già insospettita dalle parole di questa donna, noto che i due hanno un modo di parlare strano, eccessivamente confidenziale, come se ci fosse tra loro qualcosa che va al di là del normale rapporto che si instaura tra un medico e una paziente. Quindi collego diverse cose tra loro e quando parlo col dottore porto il discorso sul T.S.O., fingendo di incolpare mia madre e conducendolo così ad ammettere che era stato lui a farmi finire in psichiatria: lo ammette sia davanti a me, sia poco dopo, quando faccio entrare mia madre.

Racconto tutto al mio fidanzato e decido di non tornare più a quelle visite: il mio fidanzato, convinto dallo psichiatra durante una telefonata avvenuta subito dopo quest’ultima visita, mi lascia e rimaniamo separati per alcuni mesi. Diversi mesi dopo, quando il mio fidanzato capisce cosa era successo veramente telefona di nuovo al dott. G.A. dicendogli: “Ma cos’ha fatto! Ha fatto il TSO alla mia ragazza e le ha rovinato la vita. Ha rovinato anche il nostro rapporto, per colpa sua ci siamo lasciati”. Il dottore gli rispose con un tono di presa in giro: “Oh, mi dispiace, mi scusi”, Il mio fidanzato gli disse: “Ma guardi che noi la denunciamo” e G.A. rispose: “Fate pure. Tanto io sono una persona potente e la sua ragazza l’ho fatta passare per matta e nessuno le crederà mai.”.

Mi rivolsi ad un altro psichiatra raccontandogli di stare male a causa del TSO: questo faceva finta di credermi ma non mi credeva. Stavo molto male: tutto quello che era accaduto era stato un grande trauma e la mia vita era completamente cambiata. Malgrado l’abuso subito non mi rendevo conto di quanto fosse pericoloso il mondo della psichiatria e continuavo a pensare che con me avevano commesso un errore, che avevo incontrato gli psichiatri sbagliati, che si era verificato un malinteso iniziale che aveva portato al disastro. Continuavo a cercare lo psichiatra giusto, il farmaco giusto.

Le umiliazioni che ho subito da parte dei medici sono innumerevoli: concludevano tutti che se mi avevano fatto il TSO e dato i neurolettici voleva dire che ero malata. Partivano da questo pregiudizio e non c’era assolutamente nessun modo di spiegare come erano andate le cose. Mi prescrivevano sempre nuovi farmaci: Cymbalta, Anafranil, Nopron, Tavor, Valium, Xanax, Lamictal,…. Si verificavano continuamente incomprensioni ed equivoci che potevano espormi al rischio di altri trattamenti dannosi e non necessari.

Questo è continuato fino all’agosto 2006. In quel periodo ero ormai convinta che non sarei mai più stata serena e felice, che la mia vita era finita e che tutto ciò che mi rimaneva era soffocare la mia sofferenza attraverso il Tavor che mi permetteva di sopravvivere, almeno finché avesse funzionato.

Ho cominciato ad informarmi a proposito dei farmaci attraverso internet e mi sono resa conto che abusi come quello che avevo subito io, o anche peggiori, succedono continuamente in psichiatria. Ho visto come molte persone stiano male a causa degli psicofarmaci. Attraverso un libro sono venuta a conoscenza della storia della psichiatria, della sua ideologia e dei metodi brutali da essa adottati nel corso dei secoli.

È stato uno shock, piangevo continuamente. È stato come se, oltre alle mie sofferenze, mi fossero piombate addosso anche quelle di milioni di persone danneggiate dalla psichiatria nel corso dei secoli e nel presente.

Un medico a cui ho raccontato l’abuso subito mi ha creduto. Gli dissi che volevo smettere gli psicofarmaci perché non volevo più assolutamente avere contatti con la psichiatria così mi ha fatto uno schemino per scalare i farmaci.

Smettere i farmaci è stato come un salto nel buio, perché avevo paura di averne bisogno, ma a quel punto la mia convinzione era che se tanto dovevo stare male, potevo farlo benissimo anche senza psicofarmaci e senza psichiatria. Invece con il passare dei mesi sono stata progressivamente meglio: non sono più triste né disperata né spaventata né ansiosa e non penso più che la mia vita sia finita.

Psicologicamente sto bene. Soprattutto non sono più drogata dai farmaci, ho recuperato la mia lucidità così come la mia capacità di interpretare correttamente gli eventi e il mio autocontrollo. Ho ricominciato a vivere e a coltivare i miei interessi e adesso ho tantissimi amici che mi stimano e che, conoscendomi bene, non riescono a comprendere come sia potuta accadere a me questa vicenda così assurda. Anche il rapporto con il mio fidanzato, che il dott. G.A.. aveva rovinato, è tornato soddisfacente, grazie alla mia determinazione di far chiarezza sull’accaduto e di riprendere in mano la mia vita.

Comunque a distanza di 2 anni dal T.S.O. continuo a soffrire di movimenti involontari del volto e talvolta anche degli arti che sono stati causati dai neurolettici. Spesso, a causa di questi spasmi, mi mordo l’interno della bocca durante la masticazione, procurandomi ferite. Inoltre rischio di soffocare, poiché cibi e pasticche mi vanno per traverso, a causa della riduzione della capacità di controllare i miei movimenti volontari.

I medici che mi hanno visitato per questi disturbi mi hanno detto che molto probabilmente oramai non passeranno più. Discinesia tardiva e distonia tardiva. Non esistono neanche cure specifiche per ridurre questi movimenti che sono molto fastidiosi, insistenti e accompagnati da dolore tipo nevralgia.

Questi spasmi rendono tutte le mie ore di veglia senza pace, senza riposo; danneggiano la mia immagine e mi è molto più difficile trovare un lavoro (io ho lavorato in un negozio ed ho esperienza come commessa): molte persone a cui mi sono proposta, vedendo le smorfie sul mio volto, mi hanno trattato con eccessiva gentilezza, una gentilezza compassionevole, dopo di che non mi hanno richiamato.

Magari molte persone mi potrebbero giudicare “malata psichica” a causa di questi movimenti, non sapendo in realtà che sono stati i farmaci a provocarli; e poi anche qualora lo sapessero penserebbero che siccome ho preso i farmaci probabilmente ne avevo bisogno.

MA NON SONO IO A DOVERMI VERGOGNARE PER QUESTA FACCIA DA MANICOMIO!

Ciò influenza negativamente la mia vita sociale e lavorativa, presente e futura, nonché la qualità della mia vita. La meditazione, che io praticavo da moltissimi anni e che era per me un elemento di arricchimento, non potrò più praticarla a causa di questi spasmi. Così come non potrò più coltivare un’altra delle mie passioni, lo snorkeling, non potendo sopportare la maschera sul volto ed avendo perso, dopo il T.S.O., la capacità di nuotare.

LA MIA VITA È COMPLETAMENTE CAMBIATA, CAMBIATA PER SEMPRE. HO UN DANNO PERMANENTE, PERCHÈ? PERCHÈ MI HANNO “CURATO” CONTRO LA MIA VOLONTÀ!!!

Anche per cercare di capire cos’era questo disturbo ho dovuto subire moltissime umiliazioni dai medici. Mi sono rivolta a diversi neurologi e ne ho dovuti girare parecchi prima di trovarne uno disposto a fare gli accertamenti. Uno di loro, dopo cinque minuti, sulla base del fatto che avevo preso per un periodo antidepressivi e per un altro neurolettici, mi chiese se avevo il disturbo bipolare! Ad un altro, che mi aveva fatto la stessa scena, chiesi come si fosse permesso di farmi una diagnosi dopo 5 minuti solo basandosi sui farmaci che avevo preso e senza considerare che il TSO era stato un errore. Mi rispose che se me lo avevano fatto sicuramente avevano ragione, “Sono sicuro che lei è matta e che di TSO gliene faranno ancora tanti nella vita, anzi se non se ne va glielo faccio fare io”.

La psichiatria ti toglie la dignità.

Ti possono fare veramente di tutto perché sanno che non puoi difenderti. Tutto quello che dici o che fai non ha più alcun valore, anzi tutto viene strumentalizzato per essere usato contro di te, come ulteriore prova della tua “malattia mentale”. I trattamenti ti possono venire imposti con la forza e tu non li puoi discutere né rifiutare, perché questo è considerato rifiuto della terapia e ulteriore segno di “malattia mentale”. Non puoi dire che un determinato farmaco ti fa male perché sei considerato “malato mentale” e quindi non in grado di capire di cosa hai bisogno (come se potessero sapere meglio di te come ti senti!). Se poi dici che non sei malato di mente ma che stai male per qualche situazione contingente allora sei ancora più grave perché non ti rendi conto della tua “malattia”. La tua vita non ti appartiene più e se subisci delle violenze queste non sono poi così facili da dimostrare, perché sei screditato, perché sei considerato il “matto” che va a raccontare di aver subito un ingiustizia da parte del suo psichiatra, il quale è considerato autorevole, attendibile e di indubbia moralità. Il tuo “delirio di persecuzione” sarà un ulteriore prova della gravità della tua “malattia”, un’ulteriore scusa per sottoporti a ulteriori trattamenti.

È facile entrare in questo meccanismo anche per cose banali e rimanere coinvolti in un susseguirsi di circostanze da cui si potrebbe anche non uscire mai più, anzi da cui spesso non si esce mai.

Quando dobbiamo superare momenti difficili della vita, la società, le persone che ci stanno vicine, le opinioni autorevoli ci insegnano che si può ricorrere all’aiuto di uno psichiatra e degli psicofarmaci, per superare il periodo. Ci viene insegnato che le emozioni negative sono malattie, non normali risposte dell’uomo agli eventi esterni. Ci viene insegnato che si deve essere sempre contenti e soprattutto attivi, tirare avanti in qualsiasi circostanza ed essere come gli altri ci vogliono altrimenti siamo “malati” e ci si deve rivolgere ad uno psichiatra.

LE EMOZIONI NEGATIVE NON SONO MALATTIE.

L’abuso psichiatrico è una violenza che investe il soggetto in tutti i piani dell’essere: fisico, mentale, sociale, emotivo, etc.. Penso che sia una delle esperienze peggiori che si possono fare nella vita. È una totale privazione del diritto di gestire la propria vita; è peggio del carcere: non si è accusati di un reato ma di un pensiero, non c’è un processo, non si ha diritto ad una difesa.

Loro vogliono chiamarsi medici dell’anima ma sono come poliziotti della mente. IL LORO FINE NON E’ IL BENESSERE DEL PAZIENTE, MA IL CONTROLLO E LA REPRESSIONE DELLE MANIFESTAZIONI ESTERNE DELLE SUE SOFFERENZE.

Ascoltano i loro pazienti a partire da una diagnosi fatta superficialmente e questa diagnosi costituisce un pregiudizio, perché non si può assolutamente “vedere” chi ci sta davanti quando partiamo dalla convinzione che ogni pensiero e ogni comportamento siano frutto di un processo psicopatologico.

GLI PSICHIATRI PRESCRIVONO TRATTAMENTI CHE DISTRUGGONO FISICAMENTE I PROPRI PAZIENTI E LO FANNO CONSAPEVOLMENTE !!!

LORO, SONO “SANI DI MENTE” ?!»

E.C.

Fonte: https://www.ccdu.org/testimonianze/violenza-fisica-e-mentale-inaudita

La sparatoria di Charleston: un altro successo della psichiatria!

Nelle news girano già articoli che parlano dell’assunzione da parte di Dylann Storm Roof, il killer di 9 persone di colore a Charleston, di uno psicofarmaco per “curare” l’assuefazione da oppiacei…

Non c’è che dire: una bella cura!


Another American on Psych Drugs … kills 9

Thursday, 18 June 2015

Charleston Shooter Was on Drug Linked to Violent Outbursts

Charleston shooter Dylann Storm Roof was reportedly taking a drug that has been linked with sudden outbursts of violence, fitting the pattern of innumerable other mass shooters who were on or had recently come off pharmaceutical drugs linked to aggression.

According to a CBS News report, earlier this year when cops searched Roof after he was acting suspiciously inside a Bath and Body Works store, they found “orange strips” that Roof told officers was suboxone, a narcotic that is used to treat opiate addiction.

Suboxone is a habit-forming drug that has been connected with sudden outbursts of aggression.

A user on the MD Junction website relates how her husband “became violent, smashing things and threatening me,” after just a few days of coming off suboxone.

Another poster on the Drugs.com website tells the story of how his personality completely changed as a result of taking suboxone.

The individual relates how he became “nasty” and “violent” just weeks into taking the drug, adding that he would “snap” and be mean to people for no reason.

Another poster reveals how his son-in-law “completely changed on suboxone,” and that the drug sent him into “self-destruct mode.” A user named ‘Jhalloway’ also tells the story of how her husband’s addiction to suboxone was “ruining our life.” A poster on a separate forum writes about how he became “horribly aggressive” towards his partner after taking 8mg of suboxone.

According to a Courier-Journal report, suboxone “is increasingly being abused, sold on the streets and inappropriately prescribed” by doctors. For users, it is even more addictive than the drugs it’s supposed to help them quit. As we previously highlighted, virtually every major mass shooter was taking some form of SSRI or other pharmaceutical drug at the time of their attack, including Columbine killer Eric Harris, ‘Batman’ shooter James Holmes and Sandy Hook gunman Adam Lanza.

As the website SSRI Stories profusely documents, there are literally hundreds of examples of mass shootings, murders and other violent episodes that have been committed by individuals on psychiatric drugs over the past three decades. Pharmaceutical giants who produce drugs like Zoloft, Prozac and Paxil spend around $2.4 billion dollars a year on direct-to-consumer television advertising every year. By running negative stories about prescription drugs, networks risk losing tens of millions of dollars in ad revenue, which is undoubtedly one of the primary reasons why the connection is habitually downplayed or ignored entirely. //Paul Joseph Watson, IW

Fonte: http://macedoniaonline.eu/content/view/27574/61/